Durante questa puntata di Mappa Mundi, ho conversato con Alfonso Desiderio e Jaime D’Alessandro sulla partita geopolitica tra Usa e Cina per il dominio della tecnologia digitale e della rete 5G.
Tag: Internet
Cina contro Usa, chi dominerà il mondo?
Presentazione del nuovo numero di Limes “Non tutte le Cine sono di Xi” (che ho avuto il piacere di curare) durante la trasmissione Mappa Mundi, a cura di Alfonso Desiderio, su RepTv.
Chi è la manager di Twitter in Cina
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Fonte: http://english.sina.com/buz/s/2016-04-15/doc-ifxriqqx2497303.shtml |
La scelta di assumere Kathy Chen come direttore di Twitter per la “Grande Cina” (quella Continentale, Taiwan, Hong Kong e Macao) non è dettata da un’imminente introduzione del social network nella Repubblica popolare, dove è al momento bloccato.
Come Pechino potrebbe monitorare le masse in Cina grazie a Baidu
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La densità demografica a Shanghai il 31/12/2014, quando 35 persone sono morte durante i festeggiamenti per capodanno a causa della ressa. Fonte: http://arxiv.org/pdf/1603.06780v1.pdf |
I media cinesi contro Xi
Il mio commento per Limes sul malcontento che trapela dai media cinesi in merito al consolidamento del controllo del Partito comunista – e del presidente Xi Jinping – sui media pochi giorni dopo l’importante visita del leader presso i principali organi di stampa legati al governo.
Chi non vorresti come paese vicino? La Cina e il sondaggio geopolitico
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Dettaglio di una delle due carte pubblicate da Huanqiu per descrivere il sondaggio. Per vederla per intero scorri a fine pagina. |
Perché la Cina vuole regolare l’industria delle mappe geografiche
L’agenzia di stampa Xinhua afferma che regolare l’industria delle mappe geografiche è “cruciale per tutelare la sovranità, la sicurezza e l’interesse nazionale”.
Veloce guida ai social network cinesi
Business insider ha pubblicato un interessante articolo che illustra i primi 5 social network cinesi e il loro equivalente statunitense.
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Fonte: Businessinsider.com |
La Cina, Weibo e la censura a corrente alternata
Limes – rivista italiana di geopolitica – articolo tratto da limesonline.com
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[Chi ha paura del mouse? vignetta di Crazy Crab; fonte: cartoonmovement.com] |
Che parole come “Tiananmen” – la celebre piazza di Pechino – o Falun Gong – il movimento spirituale bandito dal governo cinese – siano censurate nei motori di ricerca cinesi non è un mistero.
La leadership mandarina infatti non vuole che i cinesi approfondiscano le tematiche considerate “inappropriate”, come le celebri proteste del 1989 in cui secondo la Croce Rossa morirono 2300 persone. È più difficile capire perché la settimana scorsa sono passati sotto la mannaia dal governo cinese termini come “marciare” (youxing) e i numeri “sette, uno” uniti al verbo “passeggiare” (in cinese qi, yi e sanbu). La ragione è la medesima. Infatti digitando su Weibo, il Twitter cinese, queste parole “innocue” si poteva accedere ai dibattiti sulle recenti manifestazioni svoltesi a Hong Kong.
L’1 luglio (appunto uno/sette), il giorno in cui nel ’97 il Regno Unito ha restituito la città alla Cina, i cittadini dell’ex colonia sono scesi in strada, nel distretto di “Central” (Zhonghai) per manifestare contro il governo di Pechino e pretendere il suffragio universale, scopo ultimo previsto dal testo quasi costituzionale dell’ex colonia. La Regione ad amministrazione speciale di Hong Kong (Hksar) è una democrazia monca il cui sistema elettorale garantisce la nomina di un chief executive (il capo di governo locale) fedele alla politica di Pechino. Il governo della Repubblica Popolare Cinese (Prc), scoperto l’escamotage utilizzato dai netizens (gli abitanti di Internet) per parlare liberamente dell’ex colonia, ha impedito tempestivamente la ricerca e la pubblicazione di post contenenti le menzionate parole chiave. Si tratta di un imbavagliamento istantaneo che ormai è diventato routine. Tuttavia, per i censori mandarini non è sempre così semplice fare il proprio lavoro.
La lingua cinese, infatti, è caratterizzata da una grande varietà di termini scritti con ideogrammi completamente diversi tra loro ma pronunciati nello stesso modo (seppur con una tonalità diversa). Questa sottigliezza lessicale consente ai netizens di formulare dei giochi di parole con cui guadagnarsi uno spazio per discutere liberamente, anche se per poco tempo.
Sempre l’1 luglio, che è anche il giorno in cui è stato fondato il Partito Comunista Cinese (Pcc), la frase “tre stupide prostitute (san ge daibiao) è stata censurata perché celava un argomento molto delicato che è pronunciato alla stessa maniera, seppur con tonalità diverse: quello delle “tre rappresentanze”, enunciate da Jiang Zemin nel 2000. Secondo l’ex presidente della Repubblica Popolare Cinese, il potere del Partito proviene dalla sua capacità di rappresentare le esigenze delle forze produttive più avanzate del paese, l’orientamento di una cultura avanzata e gli interessi della stragrande maggioranza dei cinesi. Il fatto che il gioco di parole accostasse delle prostitute ai concetti espressi dall’ex leader cinese era tutt’altro che una coincidenza.
Negli stessi giorni delle proteste hongkonghesi anche la combinazione “cappello di pelle” (in cinese pi mao), un modo informale per riferirsi agli uiguri, non dava alcun risultato. Nel mirino della censura in quel caso erano i recenti scontri avvenuti a Lukqun, Turban e Hotan nello Xinjiang tra gli abitanti e le forze di polizia. Il governo ha prontamente affermato che si è trattato di attacchi terroristici.
Il problema è un altro. A causa della costante migrazione di cinesi di etnia han (la più numerosa del paese) nella regione e delle politiche di normalizzazione imposte da Pechino, gli abitanti della “nuova frontiera” periodicamente si ribellano contro le autorità. Il 5 luglio, l’anniversario della strage di Urumqi, dove nel 2009 sono morte 200 persone, il governo ha intensificato i controlli per impedire ulteriori rappresaglie e ha posto una taglia su 11 ricercati ritenuti responsabili degli attacchi terroristici. La ricompensa oscillava tra i 50 mila e i 100 mila yuan (tra 6 mila e 12 mila euro circa). Neanche a dirlo in quei giorni non era possibile cercare la parola “Xinjiang” unita alle parole “terrore” o “violenza”.
A qualche giorno di distanza dai tre anniversari cinesi, le parole chiave citate erano nuovamente rintracciabili. Pechino si serve di una censura a corrente alternata per irrobustire la muraglia di fuoco cibernetica. Magari lasciando volontariamente qualche mattone fuori posto, per vedere chi prova ad affacciarsi dall’altra parte (vedi la possibilità di poter scavalcare i filtri digitali servendosi di software ad hoc).
Il sistema della “censura saltuaria” è forse ancora più pericoloso di quello a censura fissa che colpisce siti come Facebook, Twitter, YouTube perché accorcia ed estende la libertà del cittadino come fosse una fisarmonica, a sua insaputa. Inoltre, l’intervento tempestivo con cui sono filtrati i contenuti del web mette in luce le paure della leadership mandarina.
Pur riconoscendone le sconfinate potenzialità, Pechino sa che Internet è un campo minato e ogni parola, anche quelle più innocua, può essere un innesco.
Tuttavia, data la ricchezza del patrimonio linguistico cinese e la fervida fantasia dei netizens, se i censori mandarini pensano che per limitare lo scambio di idee sia sufficiente eliminare ogni parola reputata occasionalmente pericolosa, forse farebbero prima a buttare il dizionario.
(12/07/2013)