Il mio commento per Limes. La lunga marcia della Cina nella spazio prosegue.
Due taikonauti (gli astronauti cinesi, da taikong che significa “spazio”) sono partiti per la stazione orbitale Tiangong-2 (il “palazzo celeste”), con l’obiettivo di restarci per un mese. Nessun altro astronauta della Repubblica popolare (13 in totale) è rimasto così tanto nello spazio.
Tiangong è la risposta di Pechino alla Stazione spaziale internazionale (acronimo inglese Iss), su cui operano cinque agenzie: la statunitense Nasa, la russa Rka, l’europea Esa (che include l’italiana l’Asi), la giapponese Jaxa e la canadese Csa.
La China National Space Administation (Cnsa) non ha potuto prender parte al progetto Iss. La Nasa infatti per ragioni di sicurezza nazionale non può cooperare con la sua omologa cinese.
Di qui la decisione di Pechino di sviluppare una propria stazione orbitante. Tiangong-3, che seguirà Tiangong-2, dovrebbe diventare operativa nel 2020, mentre la Iss dovrebbe andare in pensione nel 2024. Tradotto: quell’anno il “ palazzo celeste” potrebbe essere l’unica stazione attiva. Pechino intende inviare i suoi astronauti sulla Luna entro il 2036.
Come ha detto nel 2013 il presidente Xi Jinping: il “sogno spaziale fa parte del sogno cinese”, quello del risorgimento della Repubblica popolare.
Non è solo un discorso di soft power. La tecnologia aerospaziale può essere impiegata in diversi campi: scientifico, commerciale e militare. Perciò la Cina punta a colmare il divario che la separa dagli Usa e la Russia.
In tale contesto si consideri due suoi recenti primati: il lancio del primo satellite sperimentale per le comunicazioni quantistiche e la costruzione del più grande radiotelescopio al mondo, per esplorare l’universo. Queste attività sono il segno più evidente dei grandi passi in avanti che la Cina sta compiendo nella geopolitica dello spazio.
A breve pubblicherò un’analisi più approfondita per Limes su questo argomento.