L’Italia in Cina cerca un mercato e un investitore

Le notizie geopolitiche più importanti di agosto attorno alle nuove vie della seta. Dal Bollettino Imperiale di Limes – Rivista Italiana di geopolitica. 

Indicatore geopolitico: 49,79 miliardi di euro

La cifra indica l’interscambio commerciale tra Cina e Italia. Nel 2017 questo è cresciuto del 14,79% (maggiore incremento dal 2011), secondo il IX rapporto annuale del Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia-Cina (Cesif). Il deficit commerciale (pari a  8,86 miliardi) è calato del 9,79%, ovvero il miglior risultato degli ultimi cinque anni.


TRIA E GERACI NELLA REPUBBLICA POPOLARE

Giovanni Tria, ministro dell’Economia italiano, e Michele Geraci, sottosegretario presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise), si trovano in Cina per due missioni separate. Obiettivo: potenziare i rapporti con Pechino in materia di commercio, finanza e investimenti. In tale cornice rientra la firma del memorandum d’intesa tra Snam e China state grid corporation per l’avvio di collaborazioni congiunte. Il loro focus sarà lo sviluppo di tecnologie che riducano le emissioni di Co2. Per Pechino, l’abbattimento degli alti livelli d’inquinamento è una delle sfide più impellenti, poiché influisce in maniera diretta ed evidente sulla qualità di vita dei cittadini.

In occasione del viaggio di Tria, la Banca d’Italia ha annunciato anche la creazione di un portafoglio in renminbi, il cui focus sarà investire principalmente in titoli di Stato cinesi. Questa mossa contribuisce al processo d’’internazionalizzazione della moneta cinese.

Cassa depositi e prestiti ha siglato un accordo preliminare di collaborazione con Bank of China per favorire le esportazioni e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Fincantieri ha invece firmato una dichiarazione d’intesa con China state shipbuilding corporation per ampliare la collaborazione già in corso.

Geraci vorrebbe agevolare la riduzione del deficit commerciale con la Cina e cercare investitori interessati ad Alitalia e ai porti nostrani, a cominciare da Trieste. Tra gli obiettivi della neonata Task force Cina, coordinata dallo stesso sottosegretario, c’è infatti il rilancio del ruolo dell’Italia quale “partner privilegiato” della Repubblica Popolare nel piano di sviluppo tecnologico Made in China 2025 e nella Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). Non a caso Tria ha incontrato i vertici del Silk Road Fund (creato ad hoc per la Bri), della China construction bank e della China investment corporation (primo fondo sovrano cinese), che sono tra i principali strumenti con cui la Repubblica Popolare investe all’estero.

Roma non ha ancora firmato con Pechino il memorandum d’intesa che conferma la sua partecipazione alla Bri. Soprattutto, ad oggi le iniziative italiane legate alle nuove vie della seta sono state sporadiche. Si vedano gli sforzi dei porti di Trieste, Genova e Venezia per attrarre investimenti cinesi e la promozione di rotte commerciali terrestri tra Chengdu e rispettivamente Mortara (progetto naufragato) e Busto Arsizio.

Lo sviluppo di una strategia complessiva che definisca il ruolo della Penisola nell’ambito dell’iniziativa cinese è pertanto indispensabile per mettere a sistema le proposte delle realtà locali nostrane, cogliere le opportunità derivanti dal progetto e schivarne eventuali danni collaterali.

Carta di Laura Canali, 2018


XI AGGIUSTA IL TONO DELLA BRI

Pechino vuole riguadagnare la fiducia dei paesi partner della Bri, in particolare di coloro che temono l’accumulo di debito derivante dagli investimenti cinesi (vedi la Malaysia, più in basso). Ciò si deduce dal discorso pronunciato dal presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping durante una conferenza svoltasi il 27 agosto per celebrare il quinto anniversario del lancio dell’iniziativa. Xi ha precisato che le nuove vie della seta non sono un “Club Cina”, che è necessario ricercare un maggiore equilibrio commerciale con i paesi partner, focalizzarsi su progetti di alta qualità e “dare priorità ai bisogni delle altre parti”.

A giudicare dalle parole del leader cinese, Pechino potrebbe aggiustare la propria strategia per evitare che la Bri guadagni una cattiva reputazione. Il declino dell’iniziativa sarebbe infatti un duro colpo all’immagine della Repubblica Popolare e del suo leader, visto che il progetto è uno dei marchi di fabbrica dell’”era Xi” e il suo perseguimento è stato persino inserito nella costituzione cinese. Lo sviluppo in corso di un meccanismo della risoluzione delle dispute legate alla Bri è solo un primo passo in questa direzione.


LA MALAYSIA CANCELLA I PROGETTI CINESI

Xi ha pronunciato il sopramenzionato discorso pochi giorni dopo che il primo ministro malaysiano Mahathir Mohamad ha bloccato i progetti infrastrutturali cinesi avviati nel suo paese. Mahatir ha preso questa decisione al termine del suo viaggio nella Repubblica Popolare. Evidentemente il primo ministro non è riuscito a ottenere un abbassamento dei costi previsti dagli accordi presi da Pechino e il suo predecessore Najib Razak, attualmente indagato per corruzione. La priorità di Kuala Lumpur è infatti ridurre il debito nazionale. Alla luce dei forti legami economici sino-malaysiani, non è escluso che i progetti ripartano in futuro.


I TIMORI DEL MYANMAR

Anche Naypidaw teme l’accumulo di debito nei confronti di Pechino. Per questo ha deciso di ridimensionareil progetto del porto in mare aperto di Kyaukpyu. Questo rientra nella cornice della Bri ed è localizzato in prossimità dei gasdotti e degli oleodotti che collegano il Myanmar alla Cina. La cifra stanziata per il suo sviluppo è stata ridotta da 7.3 miliardi di dollari a 1.3 miliardi, ma il ministero degli Esteri cinese afferma che i negoziati sono ancora in corso.

Per Pechino, il Myanmar è strategico per il suo accesso all’Oceano Indiano, la presenza di risorse minerarie ed energetiche nel suo sottosuolo e quella di gruppi etnici armati (anche di etnia cinese) lungo il confine della Repubblica Popolare.


LA (NON) ALTERNATIVA DEGLI USA ALLA BRI

Gli Stati Uniti vogliono incrementare i finanziamenti infrastrutturali in Asia-Pacifico, ma il budget messo a disposizione non è per ora paragonabile a quello stanziato dalla Cina per le nuove vie della seta. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha affermato che la “visione economica indo-pacifica” prevede investimenti diretti del governo statunitense per 113 milioni di dollari e l’aumento a 60 miliardi di dollari della spesa globale per prestiti ad aziende private per progetti all’estero.

Gli Usa e gli avversari della Repubblica Popolare sanno che per contenere l’ascesa cinese non basta rilanciare il dialogo quadrilaterale di sicurezza (quad) con Giappone, India e Australia. Serve anche consolidare i rapporti economici con i paesi orientali più piccoli, che temono l’ascesa della Cina ma che allo stesso tempo ne accolgono volentieri gli investimenti. Per questa ragione, Washington, Canberra, Londra e Parigi potrebbero intensificare i loro sforzi diplomatici in Oriente, aprendo anche nuove ambasciate.

Tuttavia, il budget della Bri è ancora troppo alto. Negli ultimi cinque anni la Repubblica Popolare ha infatti investito 60 miliardi di dollari nei paesi coinvolti nell’iniziativa e ha promesso che i fondi raggiungeranno il trilione di dollari.


L’AUSTRALIA BLOCCA HUAWEI E ZTE

Per ragioni di sicurezza nazionale, l’Australia ha impedito ai due giganti tecnologici cinesi di fornire equipaggiamento per la creazione della rete 5g nazionale. Senza nominare Huawei (già impiegata nella rete 4g), il ministro della Comunicazioni australiane Mitch Fifield ha dichiarato che il coinvolgimento di enti “potenzialmente soggetti alla direzione extragiudiziale di un governo straniero” potrebbe mettere a rischio la protezione dell’infrastruttura.

In sostanza, Canberra teme che la Cina possa servirsene per lo spionaggio. Questo timore è condiviso anche dal resto dei Five Eyes, alleanza d’intelligence che unisce Australia, Usa, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda. Rispetto agli altri governi, Canberra ha preso sino la misura più drastica nei confronti di Pechino nella difesa delle infrastrutture critiche.

Carta di Laura Canali, 2017


LA GRECIA FORMALMENTE NELLA BRI

La Grecia ha firmato il memorandum d’intesa che certifica il suo ingresso nella Bri. La notizia non sorprende visto che il porto del Pireo – controllato dalla cinese Cosco – è il principale snodo europeo dei traffici commerciali lungo la nuova via della seta marittima. Sotto la gestione del gigante logistico della Repubblica Popolare è diventato il settimo terminale portuale per traffico di container del Vecchio Continente.


LA CINA IN AMERICA LATINA

Ad agosto, Pechino è stata particolarmente attiva in America Latina, tradizionale “giardino di casa” degli Usa.

L’Uruguay è diventato il primo paese del Mercosur ad aderire formalmente alle nuove vie della seta. La firma del relativo memorandum d’intesa è avvenuta durante l’incontro tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo uruguayano Rodolfo Nin Novoa il 20 agosto.

Panama invece ha annunciato la sua partecipazione alla “via della seta marittima del 21° secolo”, ovvero la rotta marittima della Bri. L’apertura delle relazioni sino-panamensi si è verificato solo nel giugno 2017, dopo che il paese latinoamericano ha chiuso quelle con Taiwan in ossequio al rispetto della politica “Una sola Cina”. Subito dopo, Pechino ha accelerato le attività economiche a Panama. L’interesse cinese è spiegato dalla presenza del canale che collega Oceano Atlantico e Pacifico e dalla prossimità geografica agli Usa.

Questo mese anche El Salvador ha ufficialmente aperto i rapporti diplomatici con Pechino. Tale decisione riduce ulteriormente lo spazio diplomatico di Taipei, la cui sovranità su Taiwan è oggi riconosciuta solo da 17 Stati. Ciò favorisce la Repubblica Popolare, che vorrebbe prima o poi riprendersi l’ex isola di Formosa, possibilmente (ma non necessariamente) senza l’uso della forza.

Clicca qui per leggere la rassegna su Limes: http://www.limesonline.com/rubrica/litalia-in-cina-cerca-un-mercato-e-un-investitore-commercio-investimenti-nuove-vie-della-seta

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